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Prof.ssa Angelica Piscitello

mercoledì 14 maggio 2014

IL NAZISMO IN GERMANIA

 
La crisi del ’29 si ripercosse sull’economia tedesca, molto indipendente dall’economia internazionale, determinando una ripresa dell’inflazione e un aumento della disoccupazione. Tutto ciò compromise la già fragile struttura politica della Repubblica di Weimer e la morte di Stresemann favorì appunto il riassetto del partito in cui emerse l’ideologia nazista, incentrata sul criterio della razza, contenuto nel "Mein Kampf" di Hitler durante la  sua prigionia, successiva al fallito colpo di stato, a Monaco nel 1924. Secondo questa interpretazione le vicende umane erano un eterno conflitto tra razze superiori, in particolare quella ariana che rappresentava un elevato ideale di umanità, e razze inferiori e barbare come quelle ebraica. Ne derivò quindi la totale intolleranza verso etnie diverse, il feroce antisemitismo e il rigoroso sistema gerarchico al vertice del quale si aveva un capo (il Fuhrer) che doveva guidare il suo popolo a dominare le altre razze. Si avvertiva anche il bisogno di espandere i propri territori in virtù del fatto che la razza superiore doveva avere spazi sufficienti per crescere e prosperare, relegando gli altri gruppi etnici ad una condizione subalterna.
Hitler voleva, infatti, conquistare l’Est europeo eliminando le numerose comunità ebree presenti, perseguendo anche una politica antisovietica e anticomunista. Nel 1932 si arrivò alle elezioni presidenziali in cui i socialdemocratici si appoggiarono a Hindemburg che quindi fu rieletto, mentre alle politiche dello stesso anno il nazionalsocialismo si affermò come primo partito politico del paese. Esponenti della grande industria, della finanza e della proprietà terriera si orientarono sempre di più verso il nazismo tanto che il 30 gennaio 1933 Hindenberg chiese a Hitler di assumere la guida del governo. Il 27 febbraio 1933 con l’incendio della sede del " Reichstag" di ebbe il pretesto per emanare ventotto leggi eccezionali nelle quali fu dichiarato fuori legge il partito comunista, incolpato dell’incidente e in cui furono limitate le libertà civili e politiche. Nelle elezioni del 5 marzo 1933 Hitler ottenne il controllo della maggioranza parlamentare e la legge sui pieni poteri del 23 marzo portò alla liquidazione di tutte le opposizioni politiche allo scioglimento dei sindacati, all’abolizione dell’autonomia dei Lander che dovevano dipendere dal governo centrale. Il 30 giugno 1934 nella "notte dei lunghi coltelli" Hitler fece uccidere sia i principali capi della cosiddetta opposizione di sinistra, sia esponenti della destra tradizionale e poco dopo con la morte di Hindenburg assunse anche la carica di presidente. Si avviò quindi un regime di totalitarismo in cui tutte le attività produttive, associative e culturali furono controllate dal partito attraverso un programma di bonifica razziale. Si assistette al rogo di libri di grandi autori tedeschi ma ebrei o d’esponenti di teorie democratiche, socialiste o umanitarie. S’intensificò la politica di nazificazione della cultura cui aderirono intellettuali influenzati dalla ripresa dello "spirito germanico" ma che comportò l’esilio di coloro che non l’accettavano. La ricerca del consenso si attuò con strumenti e tecniche di comunicazione utilizzati dal ministro della propaganda Gobbels con cui si evocava del Terso Reich. La liquidazione dell’opposizione politica continuò grazie all’opera della Gestapo e con l’internamento in campi di concentramento di questi avversari del regime, di sviluppò la persecuzione degli ebrei tedeschi anche attraverso le leggi di Norimberga del 1935 in cui essi erano privati dei diritti di cittadinanza riducendoli così a status di razza inferiore: questo era l’annuncio di quella "soluzione finale" che il nazismo avrebbe perseguito durante la Seconda Guerra Mondiale.
 
 
L'ascesa del Nazismo in Germania
L’ideologia nazista fonda le sue origini nel malcontento diffuso in Germania dopo l’armistizio del 1918, che aveva concluso la prima guerra mondiale e sancito la sconfitta tedesca, e dopo il trattato di Versailles, che aveva condotto il Paese sul lastrico. Nacque così, soprattutto tra i soldati che ormai avevano perso tutto, il desiderio di trovare nuove guide e nuovi ideali rispetto a quelli di coloro che erano al potere in quegli anni, i socialdemocratici. Si vennero così a creare numerosi partiti di estrema destra; tra questi, il partito degli operai tedeschi, che prese poi il nome di partito nazionalsocialista, al quale, con la tessera 555, s’iscrisse anche Adolf Hitler. Quest’ultimo di lì a poco avrebbe scalato la gerarchia interna al partito e ne sarebbe diventato il capo assoluto e indiscusso, come suggeriscono queste parole del ministro della giustizia Hans Frank: “Hitler è unico, e anche Dio lo è, Hitler è come Dio”.
L’idea cardine del nazismo, dalla quale derivarono tutte le altre, consiste in una trasposizione sul piano sociale delle teorie darwiniane; Hitler diceva a proposito di ciò: “Il più forte trionfa, perciò non deve esistere compassione verso gli altri, né rispetto per le leggi”[1]. Si venne così a creare l’idea di una razza superiore, la cosiddetta “razza ariana”, l’unica degna di vivere e governare anche per mezzo della violenza. Il concetto di razza ariana venne sviluppato a partire da  studi pseudoscientifici sull’anatomia e sulla biologia umana, che più volte permisero ai nazisti di giustificare le loro azioni definendole di derivazione scientifica. Tutti coloro che non rientravano nei “canoni” prestabiliti e non erano perciò di razza ariana non meritavano nulla: “è una vera pazzia quella di istruire una mezza scimmia perché si pensi di aver preparato un avvocato, mentre milioni di membri della eccelsa razza civile devono rimanere in posti pubblici e miseri”[2].
L’odio verso il diverso manifestato sin dal principio dal partito di Hitler colpì in maniera assai più violenta gli ebrei. L’antisemitismo venne favorito in Germania soprattutto dal piccolo numero di ebrei presenti nel territorio: fu così molto più facile diffonderne un’immagine falsata. Il pregiudizio antigiudaico è sempre stato più o meno presente nella cultura cattolica, ma le basi sulle quali si fondò l’antisemitismo nazista erano diverse. La “lotta” del partito nazista non era di tipo religioso; si trattava piuttosto dell’unione di motivi politico-economici e pseudoscientifici, che evidenziavano una netta “differenza” e “incompatibilità” tra la razza ariana e quella ebraica; quest’ultima, in ordine d’importanza, era all’ultimo posto. L’antisemitismo nazista può essere sintetizzato con queste parole di Aron Tamir: “L’ebreo è colpevole di qualsiasi cosa, sempre”[3]. Proprio il concetto di “colpa” è basilare nel programma di propaganda di Hitler, poiché gli ebrei erano accusati di essere i responsabili della sconfitta durante la Prima Guerra Mondiale e di essere inoltre sostenitori del comunismo bolscevico. Inoltre ogni ebreo era parte integrante di una massa omogenea, nella quale tutti avevano le stesse colpe. Se un qualsiasi ebreo commetteva un delitto, automaticamente tutti gli ebrei l’avevano a loro volta commesso.
Il programma politico del Führer non prevedeva inizialmente la distruzione fisica e di massa degli ebrei, che dovevano “soltanto” essere esclusi da ogni contatto con il resto della società. Fu più tardi che vennero ordinati gli stermini e si giunse alla deportazione in campi costruiti apposta per facilitare le uccisioni.
 
1 Adolf HITLER, Mein Kampf,  Varese, La Lucciola Editrice, 1991, p.67.
2 A. HITLER, Mein Kampf, cit., p.55.
3 Cit. in Laurence  REES, Nazisti. Un popolo, un Führer, un Reich, Roma, Netwon & Compton, 1998, p. 133. Sull'evoluzione dell'antisemitismo in Germania cfr. l'approfondimento sulla notte dei cristalli.

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