BENVENUTI NEL BLOG "DAL TRASMETTERE AL COMUNICARE"

Questo BLOG DIDATTICO ha lo scopo di interfacciarsi con la didattica d'Italiano e Storia (e non solo) svolta in classe. Il BLOG si offre ad essere seguito da tutti gli alunni frequentanti L’IIS "Danilo Dolci" di Partinico (PA). Sarà piacevole accogliere qui i vostri post di commento agli argomenti inseriti, da me moderati. Trovano spazio, nel nostro Blog, anche le note alle notizie tratte dai quotidiani: PROGETTO SCUOLA "LETTURA DEL QUOTIDIANO IN CLASSE".

Il mio grazie a tutti i partecipanti!
Prof.ssa Angelica Piscitello

giovedì 22 maggio 2014

LA POESIA NUOVA

  • 1. LA POESIA DEL PRIMO ‘900 Ermetismo e poesia “pura” CARATTERI
  • 2. La poesia del Decadentismo INTRODUZIONE Ammessa l' impossibilità di conoscere la realtà vera mediante l'esperienza, la ragione, la scienza, il decadente pensa che soltanto la poesia , per il suo carattere di intuizione irrazionale e immediata possa attingere il mistero , esprimere le rivelazioni dell'ignoto. Essa diviene dunque la più alta forma di conoscenza, l'atto vitale più importante; deve cogliere le arcane analogie che legano le cose, scoprire la realtà che si nasconde dietro le loro effimere apparenze, esprimere i presentimenti che affiorano dal fondo dell'anima.
  • 3. LA POESIA PURA La poesia dell’epoca decadente è concepita come pura illuminazione . Non rappresenta più immagini o sentimenti concreti, rinuncia al racconto, alla proclamazione di ideali; la parola non è usata come elemento del discorso logico, ma per l'impressione intima che suscita, per la sua virtù evocativa e suggestiva. Nasce così la poesia del frammento rapido e illuminante, denso, spesso, di una molteplicità di significati simbolici.
  • 4. La nuova poesia La nuova poesia non si rivolge all'intelletto o al sentimento del lettore, ma alla profondità del suo inconscio, lo invita non a una lettura, ma a una partecipazione vitale immediata. Essa si propone di darci una consapevolezza più profonda del mistero . Da questi principi sono nate molte mode letterarie e anche di costume, a cominciare dal simbolismo (rappresentato, ad esempio, dal Pascoli, espressione più conseguente e radicale della nuova poetica), per continuare con l' estetismo (rappresentato, ad esempio, dal D'Annunzio); difatti il decadentismo ha aspirazioni aristocratiche, che si esprimono nel gusto estetizzante.
  • 5. L’estetismo Sul piano artistico l'estetismo si traduce nella ricerca di raffinatezza esasperata ed estenuata. L'idea della superiorità assoluta dell'esperienza estetica induce l'artista a tentare di trasformare la vita stessa in opera d'arte, dedicandosi al culto della bellezza in assoluta libertà materiale e spirituale, in polemica contrapposizione con la volgarità del mondo borghese La svalutazione della moralità e della razionalità, portarono, tra l'altro, ai vari miti del superuomo.
  • 6. La poesia simbolista La poesia simbolista è l'espressione letteraria più importante della sensibilità e della cultura del Decadentismo: essa trova il suo precursore in Charles Baudelaire (1821-1867), che verso la metà del secolo XIX, con I fiori del male , segna una svolta radicale nel linguaggio poetico. Al suo magistero si rifanno i francesi Paul Verlaine (1844-1896), Arthur Rimbaud (1854-1891), Stéphane Mallarmé (1842-1898), mentre in Italia Giovanni Pascoli conferisce ai temi e allo stile del Simbolismo dei connotati molto personali.
  • 7. Poesia del Novecento Al Simbolismo va inoltre riconosciuta un'influenza fondamentale su tutta la poesia europea del Novecento. Secondo i poeti simbolisti, la vera realtà non è quella che appare ai nostri occhi: essa non ubbidisce a regole scientifiche e oggettive e non può quindi essere indagata con il solo uso della ragione. Baudelaire afferma che nel mondo naturale l'uomo si muove attraverso "foreste di simboli" che deve cercare di decifrare seguendo l'unica forma di conoscenza possibile : quella intuitiva propria della poesia , che consente di penetrare a fondo nell'essenza più autentica delle cose. Da questa concezione derivano i caratteri fondamentali della poesia simbolista.
  • 8. Caratteri fondamentali della poesia simbolista La ricerca di una poesia pura, espressione diretta delle emozioni, che non tollera le mediazioni razionali ed è di natura completamente soggettiva. La poesia si identifica spesso con l'essenza più pura della bellezza. L'uso dell'analogia e del simbolo, che consentono di istituire rapporti tra immagini e contenuti che, secondo la logica razionale, appaiono molto lontani tra loro. L'uso di figure retoriche adatte a esprimere tali rapporti analogici: oltre alla metafora e alla similitudine, l'ossimoro, l'onomatopea e, soprattutto, la sinestesia: essa consente di mettere in relazione immagini e parole che rimandano a sfere sensoriali diverse, rivelando le profondità nascoste dietro le apparenze della realtà oggettiva. La ricerca lessicale che tende a privilegiare le parole maggiormente dotate di forza evocativa, sia sul piano del significato, sia su quello del significante: da ciò consegue, da una parte, la difficoltà e una certa voluta ambiguità dei testi simbolisti, dall'altra la loro raffinata musicalità.
  • 9. Caratteri della poesia ermetica La definizione “ermetica”, col passare del tempo ha perduto il suo significato originariamente negativo, allude al carattere volutamente oscuro e difficile di questa lirica, che si rifà all'esperienza del Simbolismo francese e a certi esiti della poesia di Giuseppe Ungaretti e di Eugenio Montale. Tra i più importanti esponenti dell'Ermetismo ricordiamo: Salvatore Quasimodo, Alfonso Gatto, Leonardo Sinisgalli e Mario Luzi.   Caratteri principali a) uso prevalente dell’endecasillabo; b) astrazione e rarefazione delle immagini, in senso non concettuale ma “lirico”, in modo da potenziarne il valore evocativo; c) impiego di accostamenti analogici; d) riduzione del lessico a poche parole-chiave; e) soppressione delle determinazioni (per esempio, degli articoli determinativi) in modo da rendere assoluta e allusiva la parola; f) uso di plurali indeterminati al posto del singolare; g) tendenziale riduzione a zero dei nessi grammaticali e sintattici.
  • Prof.ssa Angelica Piscitello 
  • mercoledì 14 maggio 2014

    IL NAZISMO IN GERMANIA

     
    La crisi del ’29 si ripercosse sull’economia tedesca, molto indipendente dall’economia internazionale, determinando una ripresa dell’inflazione e un aumento della disoccupazione. Tutto ciò compromise la già fragile struttura politica della Repubblica di Weimer e la morte di Stresemann favorì appunto il riassetto del partito in cui emerse l’ideologia nazista, incentrata sul criterio della razza, contenuto nel "Mein Kampf" di Hitler durante la  sua prigionia, successiva al fallito colpo di stato, a Monaco nel 1924. Secondo questa interpretazione le vicende umane erano un eterno conflitto tra razze superiori, in particolare quella ariana che rappresentava un elevato ideale di umanità, e razze inferiori e barbare come quelle ebraica. Ne derivò quindi la totale intolleranza verso etnie diverse, il feroce antisemitismo e il rigoroso sistema gerarchico al vertice del quale si aveva un capo (il Fuhrer) che doveva guidare il suo popolo a dominare le altre razze. Si avvertiva anche il bisogno di espandere i propri territori in virtù del fatto che la razza superiore doveva avere spazi sufficienti per crescere e prosperare, relegando gli altri gruppi etnici ad una condizione subalterna.
    Hitler voleva, infatti, conquistare l’Est europeo eliminando le numerose comunità ebree presenti, perseguendo anche una politica antisovietica e anticomunista. Nel 1932 si arrivò alle elezioni presidenziali in cui i socialdemocratici si appoggiarono a Hindemburg che quindi fu rieletto, mentre alle politiche dello stesso anno il nazionalsocialismo si affermò come primo partito politico del paese. Esponenti della grande industria, della finanza e della proprietà terriera si orientarono sempre di più verso il nazismo tanto che il 30 gennaio 1933 Hindenberg chiese a Hitler di assumere la guida del governo. Il 27 febbraio 1933 con l’incendio della sede del " Reichstag" di ebbe il pretesto per emanare ventotto leggi eccezionali nelle quali fu dichiarato fuori legge il partito comunista, incolpato dell’incidente e in cui furono limitate le libertà civili e politiche. Nelle elezioni del 5 marzo 1933 Hitler ottenne il controllo della maggioranza parlamentare e la legge sui pieni poteri del 23 marzo portò alla liquidazione di tutte le opposizioni politiche allo scioglimento dei sindacati, all’abolizione dell’autonomia dei Lander che dovevano dipendere dal governo centrale. Il 30 giugno 1934 nella "notte dei lunghi coltelli" Hitler fece uccidere sia i principali capi della cosiddetta opposizione di sinistra, sia esponenti della destra tradizionale e poco dopo con la morte di Hindenburg assunse anche la carica di presidente. Si avviò quindi un regime di totalitarismo in cui tutte le attività produttive, associative e culturali furono controllate dal partito attraverso un programma di bonifica razziale. Si assistette al rogo di libri di grandi autori tedeschi ma ebrei o d’esponenti di teorie democratiche, socialiste o umanitarie. S’intensificò la politica di nazificazione della cultura cui aderirono intellettuali influenzati dalla ripresa dello "spirito germanico" ma che comportò l’esilio di coloro che non l’accettavano. La ricerca del consenso si attuò con strumenti e tecniche di comunicazione utilizzati dal ministro della propaganda Gobbels con cui si evocava del Terso Reich. La liquidazione dell’opposizione politica continuò grazie all’opera della Gestapo e con l’internamento in campi di concentramento di questi avversari del regime, di sviluppò la persecuzione degli ebrei tedeschi anche attraverso le leggi di Norimberga del 1935 in cui essi erano privati dei diritti di cittadinanza riducendoli così a status di razza inferiore: questo era l’annuncio di quella "soluzione finale" che il nazismo avrebbe perseguito durante la Seconda Guerra Mondiale.
     
     
    L'ascesa del Nazismo in Germania
    L’ideologia nazista fonda le sue origini nel malcontento diffuso in Germania dopo l’armistizio del 1918, che aveva concluso la prima guerra mondiale e sancito la sconfitta tedesca, e dopo il trattato di Versailles, che aveva condotto il Paese sul lastrico. Nacque così, soprattutto tra i soldati che ormai avevano perso tutto, il desiderio di trovare nuove guide e nuovi ideali rispetto a quelli di coloro che erano al potere in quegli anni, i socialdemocratici. Si vennero così a creare numerosi partiti di estrema destra; tra questi, il partito degli operai tedeschi, che prese poi il nome di partito nazionalsocialista, al quale, con la tessera 555, s’iscrisse anche Adolf Hitler. Quest’ultimo di lì a poco avrebbe scalato la gerarchia interna al partito e ne sarebbe diventato il capo assoluto e indiscusso, come suggeriscono queste parole del ministro della giustizia Hans Frank: “Hitler è unico, e anche Dio lo è, Hitler è come Dio”.
    L’idea cardine del nazismo, dalla quale derivarono tutte le altre, consiste in una trasposizione sul piano sociale delle teorie darwiniane; Hitler diceva a proposito di ciò: “Il più forte trionfa, perciò non deve esistere compassione verso gli altri, né rispetto per le leggi”[1]. Si venne così a creare l’idea di una razza superiore, la cosiddetta “razza ariana”, l’unica degna di vivere e governare anche per mezzo della violenza. Il concetto di razza ariana venne sviluppato a partire da  studi pseudoscientifici sull’anatomia e sulla biologia umana, che più volte permisero ai nazisti di giustificare le loro azioni definendole di derivazione scientifica. Tutti coloro che non rientravano nei “canoni” prestabiliti e non erano perciò di razza ariana non meritavano nulla: “è una vera pazzia quella di istruire una mezza scimmia perché si pensi di aver preparato un avvocato, mentre milioni di membri della eccelsa razza civile devono rimanere in posti pubblici e miseri”[2].
    L’odio verso il diverso manifestato sin dal principio dal partito di Hitler colpì in maniera assai più violenta gli ebrei. L’antisemitismo venne favorito in Germania soprattutto dal piccolo numero di ebrei presenti nel territorio: fu così molto più facile diffonderne un’immagine falsata. Il pregiudizio antigiudaico è sempre stato più o meno presente nella cultura cattolica, ma le basi sulle quali si fondò l’antisemitismo nazista erano diverse. La “lotta” del partito nazista non era di tipo religioso; si trattava piuttosto dell’unione di motivi politico-economici e pseudoscientifici, che evidenziavano una netta “differenza” e “incompatibilità” tra la razza ariana e quella ebraica; quest’ultima, in ordine d’importanza, era all’ultimo posto. L’antisemitismo nazista può essere sintetizzato con queste parole di Aron Tamir: “L’ebreo è colpevole di qualsiasi cosa, sempre”[3]. Proprio il concetto di “colpa” è basilare nel programma di propaganda di Hitler, poiché gli ebrei erano accusati di essere i responsabili della sconfitta durante la Prima Guerra Mondiale e di essere inoltre sostenitori del comunismo bolscevico. Inoltre ogni ebreo era parte integrante di una massa omogenea, nella quale tutti avevano le stesse colpe. Se un qualsiasi ebreo commetteva un delitto, automaticamente tutti gli ebrei l’avevano a loro volta commesso.
    Il programma politico del Führer non prevedeva inizialmente la distruzione fisica e di massa degli ebrei, che dovevano “soltanto” essere esclusi da ogni contatto con il resto della società. Fu più tardi che vennero ordinati gli stermini e si giunse alla deportazione in campi costruiti apposta per facilitare le uccisioni.
     
    1 Adolf HITLER, Mein Kampf,  Varese, La Lucciola Editrice, 1991, p.67.
    2 A. HITLER, Mein Kampf, cit., p.55.
    3 Cit. in Laurence  REES, Nazisti. Un popolo, un Führer, un Reich, Roma, Netwon & Compton, 1998, p. 133. Sull'evoluzione dell'antisemitismo in Germania cfr. l'approfondimento sulla notte dei cristalli.

    martedì 13 maggio 2014

    LA TESINA D'ESAME DI STATO

    LA TESINA

    L’avvio del colloquio d’esame, secondo quanto indicato dalle norme, con la presentazione di esperienze di ricerca e di progetto, presuppone attività svariate, tra queste la scelta di un argomento, anche a carattere pluridisciplinare: la tesina.
    La tesina è un testo scritto, d’uso scolastico o universitario, di tipo saggistico, consistente nella trattazione di un particolare argomento, su cui si sia svolta una indagine o su cui si sia raccolta della informazione, e su cui l’autore abbia elaborato una personale interpretazione.
    Infatti tale testo si prefigge lo scopo, oltre che di documentare l’oggetto della trattazione, di dimostrare una personale tesi dell’autore, facendo ricorso all’argomentazione, cioè ad un metodo di discussione e di ragionamento, teso a convincere il lettore.
    In quanto Saggio, la sua tipologia testuale è prevalentemente argomentativa, anche se non mancano elementi di testo descrittivo e informativo.
    Come ogni scrittura documentata è necessario che le citazioni di autori e detti siano poste tra virgolette e segnalate le pagine da cui sono state tratte.
    La Tesina si differenzia dal Saggio breve per una maggiore ampiezza e per una più marcata articolazione in capitoli ma anche in paragrafi titolati e organizzati secondo gli scopi prefissati: sia quelli di informazione sull’argomento, sia quelli di argomentazione e di dimostrazione della propria tesi.
    La Titolazione della tesina non è solo mezzo di attrazione fondamentale dell’attenzione del lettore, deve anche alludere allo spaccato (o taglio) che l’autore vuole argomentare.
    Per la stesura della Tesina è opportuno prestare attenzione al fatto che:
    •  lo svolgimento corrisponda al titolo della tesina;
    •  la tesi sia ben evidenziata l’informazione sia esauriente;
    •  l’argomentazione sia efficace;
    •  il discorso risulti compatto e coeso;
    •  vi sia la massima correttezza linguistica (formale, ortografica, grammaticale, lessicale…).
    Questo genere di scrittura obbedisce a regole redazionali proprie.
    Esse sono:
    o la intitolazione di capitoli e paragrafi;
    o le note;
    o le citazioni;
    o la bibliografia finale;
    o l’indice.
    LA TESINA IN POWER POINT (ppt)
     
    La paura dell' esame si può vincere anche con un clic del mouse. Sì, perché il computer può aiutare i candidati ad essere più sicuri, più ordinati nell' esposizione e, perché no, stupire i docenti con qualche effetto speciale.
    una «tesina» preparata con i linguaggi multimediali può essere un ottimo ausilio per abbellire un' esposizione a volte piatta e un po' noiosa, e soprattutto aiutare il candidato a superare l' emozione ed essere infine un buon viatico contro lapsus e dimenticanze.
    È chiaro che la relazione sull' argomento scelto dal candidato deve essere valida sotto il profilo del contenuto, ma anche l' occhio vuole la sua parte e alcuni docenti potranno apprezzare le qualità di organizzazione grafica del candidato.

    Ma come si realizza una «tesina» hi-tech? Per prima cosa bisogna scegliere il software giusto. Il primo e più evidente difetto delle presentazioni è il contrasto tra testo e sfondo.
    Un buon contrasto tra testo e sfondo è di aiuto per tutti.
    Per valutare se il contrasto sia sufficiente può bastare il buon senso.

    Bisogna usare caratteri facili da leggere: poco maiuscolo, poco corsivo, non cambiare continuamente colore, non cambiare continuamente carattere, non usare il giustificato, eliminare sottolineature o, peggio ombreggiature, non usare caratteri troppo piccoli, preferire i caratteri "sans serif" come il "verdana". Se usate un elenco puntato (con moderazione, mi raccomando) fate comparire un punto alla volta.
    «Perché non va bene il giustificato?»
    Il giustificato può lasciare grossi spazi vuoti che rendono la lettura più difficile per gli ipovedenti».
    «Perché un punto alla volta?»
    «Perché altrimenti, invece di ascoltarvi, leggono».
    «Abbiamo capito, grazie».
    «No, ragazzi, non basta ancora».
    «?»
    Se nel vostro lavoro c’è troppo testo. La tentazione di leggere sarà fortissima ed otterrete tre effetti negativi:
    «Quali?»
    «Darete l’impressione di usare la presentazione perché non conoscete bene l’argomento. Darete lo stesso messaggio con due mezzi diversi e l’occhio del lettore sarà più veloce del suo orecchio. Sarete i servi della presentazione».
     
    L’esame, ormai lo sanno tutti, prevale sul curricolo. Più di metà della commissione non vi conosce. Avete a disposizione un quarto d’ora tutto vostro. Dovete brillare, dovete stupire, dovete emozionare. Alla fine della vostra presentazione, i commissari devono ammirarvi e pensare di aver imparato qualcosa.
     
    «E come possiamo fare?»
    «Poco testo: il testo deve essere al vostro servizio, non voi al suo. Titoli efficaci: devono comunicare subito l’essenziale. Parole chiave in grassetto. Immagini significative. Niente clipart.
    Siate semplici, credibili, emozionanti. Voi, non gli effetti speciali. Quelli usateli il meno possibile, solo per sottolineare qualcosa di veramente importante».
    Buon lavoro e...AUGURI!
     
    TITOLI PER POSSIBILI TESINE
    Il secondo dopoguerra tra ansia di denuncia e ricostruzione;
    L'uomo e il nucleare: un binomio dal "costo" intollerabile!;
    La grande emigrazione del '900 e gli immigrati di oggi;
    La grande depressione del 1929 e la crisi economica attuale
    ;
    Accessibilità e tutela: disabilità;
    Accessibilità e tutela: Terza età;
    I servizi socio-sanitari a garanzia dei più deboli;
     Le malattie mentali: leggi e tutele
      I poeti e la guerra;
    Le poetiche decadenti: la crisi dell' "io".

    L'UMORISMO PIRANDELLIANO

     
    Il saggio "L'Umorismo" fu scritto tra il 1906 e il 1908.
     
    Nato sul modello de Il riso di Henri Bergson, il saggio di Pirandello ne amplia la prospettiva, affrontando in maniera cristallina la differenza – che costituisce il cuore dello scritto – tra i concetti di comico e umoristico. Il primo viene definito come “avvertimento del contrario”: il comico è cioè percezione e messa in evidenza delle sfasature della realtà e dei comportamenti, delle contraddizioni della vita. L’umorismo è invece “sentimento del contrario”: l’atteggiamento umoristico è proprio di chi, rilevando quelle stesse sfasature, scopre la sofferenza che si cela dietro di esse.
    Per studiar minuziosamente un grottesco, per prolungar freddamente un’ironia, bisogna avere un sentimento continuo di tristezza e di collera.
    Esso nasce quindi dalla riflessione sul comico e, se quest’ultimo scatena il riso, il primo porta invece al sorriso… Un sorriso ironico, che significa distanza e vicinanza allo stesso tempo: l’umorista, spinto dalla riflessione, è di fatto portato al distacco, eppure si sente segretamente attratto e partecipe di quella condizione esistenziale, che avverte come comune.
    È come se, lacerato dal contrasto tra vita e forma, ne avvertisse però l’intrinseca necessità.
    L’esempio portato dallo scrittore porta in primo piano una scena elementare che vede protagonista una donna anziana vistosamente truccata (la vecchietta imbellettata). A primo impatto, essa ci porta inevitabilmente al riso, scatenato da quell’avvertimento del contrario di cui abbiamo parlato (il trucco non è, nella nostra percezione della realtà, abbinato ad un’età così avanzata: il tutto ci sembra infatti ridicolo). Ma, se ci fermiamo a riflettere, allora pensiamo a cosa si cela dietro ad un comportamento di questo tipo: il non-accettare la vecchiaia, l’esorcizzare la paura più grande del’uomo, la morte. L’umorismo ci porta ad una inaspettata vicinanza con quella vecchia tanto truccata di cui la categoria del comico ci faceva solo ridere.
    Vette di straordinaria lucidità critica vengono raggiunte anche quando Pirandello affronta il tema della differenza tra ironia e umorismo, prendendo come massimi esempi letterari L’Orlando Furioso – trionfo della distaccata ironia ariostesca – e il Don Quijote, romanzo umorista che porta alla ribalta l’errata percezione della realtà da parte di un uomo che nasconde, innanzitutto, un disagio con il mondo.

    IL TEATRO DI PIRANDELLO

    Mentre il teatro precedente mirava alla rappresentazione di una realtà esistente come un dato di fatto, Pirandello (come già aveva fatto nei romanzi), introduce una visione non più statica, ma dialettica del reale, cioè una realtà oppostamente interpretabile e per questo priva di una sua oggettiva consistenza e tale che non può che generare lo scontro fra varie interpretazioni. Così è (se vi pare), è un'opera teatrale tratta dalla novella omonima, che racconta della signora Frola e il signor Ponza, suo genero.
    L'opera è incentrata su un tema molto caro a Pirandello: l'inconoscibilità del reale, di cui ognuno può dare una propria interpretazione che non può coincidere con quella degli altri. Si genera così un relativismo delle forme, delle convenzioni e dell'esteriorità, un'impossibilità a conoscere la verità assoluta che è ben rappresentata dal personaggio Laudisi e dalla frase "io sono colei che mi si crede" ripetuta dalla donna misteriosa.

    Questa è la prima opera teatrale in cui si realizza questa nuova concezione.
    Questa premessa determina quella caratteristica raziocinante tipica dei personaggi pirandelliani, il loro arrovellarsi a ragionare, a spiegare (la famosa "cerebralità" pirandelliana).
    La commedia viene così ad assumere l'aspetto di un dialogo filosofico. Tale cavilloso ragionare dei personaggi pirandelliani nasce dal tentativo di spezzare il carcere della solitudine, cioè dalla necessità di far combaciare le visioni opposte della realtà e stabilire quindi un terreno di colloquio, di comunanza. Poiché questo non è possibile, non resta allora che accettare la propria solitudine, il carcere, - cioè quella forma, quella maschera che imprigiona la vita -, in cui la visione degli altri, che non coincide con la nostra, ci ha condannati.
    A queste due novità, ne va aggiunta una terza: la dissoluzione della finzione scenica, cioè il cosiddetto "teatro nel teatro", che nei Sei personaggi trova non l'unico, ma il più valido esempio.

    Leggi dal tuo libro: Da “Sei personaggi in cerca d’autore”:
    Personaggi contro attori

    "Sei personaggi in cerca d'autore":
    Un dramma atroce si è presentato alla mente dello scrittore: quello di un padre che, dovendo naturalmente essere conosciuto dalla figliastra soltanto come padre, è invece stato sorpreso da lei in un casa infame, nell'atto di commettere un'azione vergognosa e proprio con lei, che per miseria andava a vendersi.
    Ma questo dramma l'autore non ha voluto scriverlo e i sei personaggi rifiutati da lui si recano su un palcoscenico a chiedere a un capocomico quella vita artistica che soltanto un poeta potrebbe dar loro.

    Qui Pirandello intende esemplificare il tema che più gli sta a cuore: l'incomunicabilità. La quale esplode proprio quando gli attori - pregati dai sei personaggi - cercano di rappresentare quella vicenda; ma i personaggi si sentono traditi da quel tentativo di oggettivazione, dalle parole che usano gli attori: la loro realtà esistenziale è un'altra.
    L'innovazione tecnica - portare sul palcoscenico non un dramma fatto, ma un dramma nel suo progressivo farsi, cioè il cosiddetto "teatro nel teatro", segna il disfarsi delle consuetudini di verosimiglianza del teatro tradizionale e si colloca come una pietra miliare nella drammaturgia europea. E non era questo di Pirandello un gesto d'avanguardia puramente tecnicistico, ma esprimeva una necessità: dopo la descrizione di una società, alle cui false certezze l'autore siciliano aveva tolto impietosamente ogni velo, ora Pirandello faceva crollare anche le consuetudini, i modi di rappresentazione.

    La coscienza di Zeno - Italo Svevo - Lezioni di letteratura del '900




    Nel saggio "L'uomo e la teoria darwiniana" Svevo, esponendo una sua riflessione sulla teoria darwiniana dell'evoluzione naturale, giunge a pensare che il malato è l'uomo vero, "l'uomo più umano che sia stato creato".
    L'inetto è un "abbozzo", un essere in divenire, che ha ancora la possibilità di evolversi verso altre forme proprio grazie alla sua mancanza assoluta di uno sviluppo marcato in qualsivoglia senso, mentre gli individui "normali", "sani", che sono già perfettamente compiuti in tutte le loro parti, sono incapaci di evolversi ulteriormente, si sono arrestati nel loro sviluppo e cristallizzati nella loro forma definitiva.
    L'inettitudine non appare più, dunque, un marchio d'inferiorità, che condanna ad un'irrimediabile inadattabilità al reale e quindi alla debolezza e alla sconfitta, ma una condizione in qualche modo privilegiata, aperta e disponibile.
    L'atteggiamento di Svevo verso l'inetto è un atteggiamento più aperto e problematico, disposto a guardare all'inetto anche con simpatia, ad accettarlo nella sua mescolanza di positivo e negativo.

    ATTIVITA'
    Esprimete qui il vostro commento sui temi "malattia" e "salute" del protagonista-narratore dell'opera.